Oltraggio alla Catalogna?

La situazione sociale e politica in Catalogna si è rovesciata negli ultimi giorni. Da tempo molta gente, a Barcellona e negli altri centri, mostra una crescente insofferenza verso le misure intimidatorie del Governo di Madrid che aveva proclamato: “Non ci sarà il referendum sull’indipendenza”.
Al contrario il referendum si è svolto. Non pare, comunque, che sia stato l’esecuzione di una decisione del Parlament catalano, ma piuttosto l’espressione della volontà di molti cittadini di esprimersi sulla proposta indipendentista di fondare uno Stato repubblicano. La creazione di un nuovo Stato, con relativi confini, esercito e polizia, lascia logicamente perplessi coloro che auspicano l’eliminazione di questi strumenti dell’autoritarismo istituzionale. Anche la forma repubblicana, una novità solo relativa per la Spagna, non pare garantire alcuna gestione del potere meno oppressiva. E gli esempi, ieri e oggi, non mancano.
Le forze politiche che avevano spinto, e spingono, verso la secessione sono diverse e spesso in conflitto tra loro. Un ex partito democristiano moderato, Convergencia i Uniò, quello del Presidente Carles Puigdemont, si è trasformato in un acceso gruppo indipendentista nel giro di pochi mesi cambiando il nome in Partit Democratic de Catalunya . Pesa sulla metamorfosi soprattutto la volontà di deviare l’insoddisfazione generale verso i dirigenti politici regionali responsabili di una serie di misure antipopolari: taglio delle spese sociali, in particolare nell’istruzione e nella sanità, oltre che in ambito pensionistico, che avevano peggiorato le condizioni di vita di milioni di catalani.
Dopo le elezioni della Generalitat del 2015, terminate con la vittoria degli indipendentisti come numero di seggi, ma non di voti, emerge anche un nuovo protagonista del teatro elettorale, la CUP (Candidaturas de Unidad Popular), un partito “anticapitalista” che sembra sia riuscito a rappresentare a livello istituzionale il dissenso sociale radicalizzato. La CUP dispone di pochi, ma determinanti, seggi per appoggiare il Governo, ha imposto le dimissioni di Artur Mas, denunciato come il responsabile dei provvedimenti antisociali avviati già da alcuni anni. Il suo successore, l’ormai noto a livello mondiale Carles Puigdemont, però era il suo principale complice nelle scelte politiche antipopolari.
E’ molto interessante, come sintomo della diffusa rabbia contro il Parlamento, il fatto che, nella primavera del 2011, migliaia di manifestanti assediarono questo edificio a Barcellona e costrinsero Artur Mas ad atterrare in elicottero. Lo scopo era di impedire le preannunciate decisioni antisociali. Si trattò quindi di un’evidente protesta extra e antistituzionale a sfondo decisamente sovversivo. Forse gli stessi protagonisti non si rendevano completamente conto del significato di rottura a sfondo rivoluzionario di quell’azione antiautoritaria.
La terza componente separatista è la storica Esquerra Republicana de Catalunya che è riuscita ad aumentare notevolmente i consensi sfruttando il nuovo vento di opinione pubblica. L’alleanza delle tre formazioni indipendentiste ha dato vita, dopo molti mesi, ad un Governo che si è pubblicamente impegnato ad attuare, in pochi mesi, una Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza. Il referendum del 1° ottobre avrebbe dovuto essere un passaggio di legittimazione e i tempi erano stati accelerati.
Da parte sua, il Governo di Madrid, dove il Partido Popular di Mariano Rajoy, pur in minoranza parlamentare, aveva occupato i posti di potere con la cruciale astensione dei socialisti e aveva già dichiarato illegale la consultazione e minacciato forme di attacco frontale che ai più sembravano poco probabili. La magistratura, in buona parte di nomina governativa, aveva affiancato l’esecutivo annullando così l’antica (ipotetica e classica) divisione dei poteri.
In teoria, Madrid avrebbe potuto considerare senza effetti pratici il referendum e annullarne ogni conseguenza istituzionale, ma ciò non bastava ad affermare la netta superiorità della capitale rispetto alla periferia ribelle, insoddisfatta del livello di autonomia già riconosciuta. Si può perciò capire perché era necessario l’invio della Policia Nacional e della Guardia Civil con le esplicite disposizioni di usare la violenza senza troppe incertezze e di impedire il voto sgomberando brutalmente i seggi. Nel rifiuto di ogni mediazione e nella durezza repressiva si potrebbe ipotizzare una manovra del Partido Popular per conquistare la maggioranza assoluta in una prossima ravvicinata elezione generale. L’arma segreta per carpire fette più ampie di delega sarebbe il confuso, ma reale, sentimento di diffidenza anticatalanista presente nel centro e nel sud della Spagna.
Mentre è noto come la delega elettorale sia una forma di consolidamento del Potere e di conferma del sistema gerarchico e oppressivo, stavolta accorrere alle urne in Catalogna ha acquisito un significato alquanto diverso. La sfida agli ordini di Madrid, e un senso comunitario, hanno spinto diverse migliaia di cittadini, tra cui intere famiglie senza particolari opzioni politiche, ad occupare le scuole e a difendere il proprio diritto. Analogamente giovani dall’abbigliamento alternativo hanno portato le urne a casa per evitare il sequestro (in alcuni casi portato a termine anche dai Mossos). L’illegalità del referendum, tanto sbandierata dal Governo centrale, non ha quindi spaventato la gente comune e spesso, di fronte a queste minacce, chi di norma si asteneva è andato a votare.
Le scene della gratuita violenza poliziesca del 1° ottobre verso persone inermi hanno fatto il giro del mondo con la conseguenza di aumentare a dismisura, dentro e fuori della regione, le simpatie per le rivendicazioni catalaniste. E il protagonismo dei video di singoli operatori dilettanti, ormai consueto mezzo di comunicazione, ha anticipato e in parte emarginato la risposta dei media, stampa e TV, controllati da Rajoy, che puntavano sulla criminalizzazione del 1°ottobre e dintorni.
Il 3 ottobre uno sciopero generale, convocato da tempo per i diritti sociali e contro la repressione da un insieme di sindacati di base (tra cui la CNT e la CGT), ha poi offerto l’occasione per una serie di manifestazioni enormi inondate di bandiere catalane con la stella indipendentista. In qualche occasione sono spuntate anche bandiere rossonere. Le immagini dei videoamatori rendono bene l’idea del tipo di partecipazione alle proteste che hanno trovato nei giovani i protagonisti indiscussi. Le strade del centro non sono riuscite a contenere le centinaia di migliaia di persone che hanno urlato la propria rabbia in faccia ai poliziotti pur non usando metodi di aperta rivolta violenta. Anche l’ambiguità data dall’adesione dei piccoli e medi industriali alla “fermata nazionale” (il termine sciopero non è digeribile) è stata superata nelle iniziative vere in piazza. I sindacati maggioritari, la UGT socialista e le Comisiones Obreras catalane, all’ultimo momento hanno dovuto aderire alla protesta per non essere tagliate fuori. I picchetti combattivi di fronte alle fabbriche e i blocchi stradali diffusi ovunque, opere quasi spontanee e dove i militanti dei sindacati minoritari si sono impegnati a fondo, hanno dato la misura del coinvolgimento di movimenti di base tutt’altro che moderati.
Le lotte in Catalogna hanno trovato riscontro in formazioni e mentalità anticentraliste presenti in regioni periferiche con notevole identità culturale, come i Paesi Baschi e la Galizia. D’altra parte, le risposte pubbliche degli “unionisti” hanno trovato finora solo una partecipazione ridotta (a parte il caso di Madrid) e gravitante, per lo più, attorno a gruppi neofranchisti. Una novità è costituita dalla convocazione di sabato 7 ottobre promossa dai dialoganti, logicamente preoccupati che l’intensificarsi del conflitto istituzionale porti a svolte più pericolose per la continuità del sistema spagnolo. Essi hanno perciò indetto riunioni di piazza all’insegna di bandiere e abiti bianchi intesi come simbolo di neutralità politica e di risoluzione pacifica. Pare che sia una forma di azione cittadina autonoma e sorta tramite i contatti Internet. Uno degli slogan di questo appuntamento è preso dal movimento del 15 maggio 2011: “Non ci rappresentano!”. Altra iniziativa, con consistente seguito, è quella di chi affianca bandiere catalane e spagnole in manifestazioni per l’unità della Spagna e un nuovo patto tra Barcellona e Madrid.
Il contesto è quindi molto complesso e non va dimenticato quanto, in tutto questo movimento catalanista indubbiamente popolare, stia pesando la manipolazione dei vertici politici. Ne è un esempio indubbio gli applausi rivolti alla polizia autonoma, i Mossos de Esquadra, vissuti come difensori del popolo contro Policia e Guardia Civil, strumenti dell’oppressione madrilena. Le lodi agli strumenti repressivi della Generalitat si sono verificate malgrado la lunga mobilitazione dei movimenti di base contro i Mossos, responsabili di omicidi di cittadini e di gravi ferite a manifestanti che in svariati casi avevano perso un occhio. Le proteste riuscirono a costringere il Parlament ad abolire l’uso delle pallottole di gomma negli interventi dei Mossos.
L’approfondimento dello scontro politico sta facendo passi avanti nella direzione di un muro contro muro che vede il Governo, i giudici e il Re FelipeVI quali comprimari del centralismo e della repressione in nome dell’impero della legge costituzionale che non prevede il diritto alla secessione. Molte parole del monarca, erede di un assai discusso Juan Carlos, a sua volta allevato da Franco, riecheggiano i principi del franchismo (“España una, grande, libre”) risultato della sofferta Guerra Civile del 1936-39. Sullo sfondo si intravede pure una mobilitazione dell’esercito in appoggio alla Policia Nacional e alla Guardia Civil apertamente boicottate dalla società catalana. Molto significativo sul piano del dissenso sociale è una prova inequivocabile dell’atteggiamento diffuso in Catalogna: il giorno stesso dell’insediamento delle forze di polizia (stimate in 10.000 unità) in diverse navi a Barcellona, gli scaricatori del porto dichiararono uno sciopero e un boicottaggio e bloccarono i rifornimenti alimentari agli ospiti delle navi. Altro fatto: dopo la violenza poliziesca del 1° ottobre, davanti ad alcuni alberghi dove alloggiavano gli scherani di Madrid, si sono svolte manifestazioni di protesta per la presenza non gradita. In qualche caso i responsabili degli alberghi hanno premuto affinché gli agenti abbandonassero le camere. L’uscita delle centinaia di poliziotti, per lo più depressi, veniva quindi applaudita da molti manifestanti nei centri attorno a Barcellona. Perciò il governo ha dovuto inviare mezzi e truppe dell’esercito per risolvere l’imbarazzante situazione logistica.
Negli ultimi giorni, Rajoy ha giocato un’altra carta ricattatoria, anzi punitiva: ha emanato un decreto che facilita il trasferimento di aziende dalla Catalogna. E alcune grandi imprese lo stanno già concretizzando. Ciò fa riflettere la borghesia regionale e smentisce chi pensava a prevalenti motivazioni di convenienza economica, come l’annullamento del trasferimento di tasse al governo centrale, quale molla per l’indipendenza.
La valutazione dei possibili sbocchi emancipatori degli impressionanti livelli di partecipazione alle proteste, a Barcellona e non solo, resta abbastanza incerta. L’influenza della tradizione libertaria in Catalogna, secondo alcuni, sarebbe presente in molti comportamenti giovanili pronti alla mobilitazione e alla sfida fisica alla repressione. Un altro importante elemento porterebbe a un giudizio ottimistico: Barcellona, unica grande città in Europa, è stata protagonista, pochi mesi fa, di un corteo con centinaia di migliaia di presenze, in favore di una solidale accoglienza ai migranti e contro le restrizioni imposte dal governo di Madrid. Anche in questo caso, in certi ambienti anarchici barcellonesi, la fondata diffidenza verso le istituzioni aveva spinto a vedere, in quella straordinaria mobilitazione, l’effetto della manipolazione di massa da parte della Generalitat. A dire il vero, queste prese di posizione favorevoli all’accoglienza da parte di un’ampia fetta della società non appaiono un rituale presente a livello europeo. Ciò significa che un sentimento di apertura e di fraternità verso gli immigrati è comunque presente, anche se strumentalizzato a fini elettorali, nella “Rosa de Foc” (è questa la definizione storica della città mediterranea quale centro di rivolte sociali a sfondo rivoluzionario e anarchico a partire dalla fine Ottocento).
Alcuni osservatori critici verso il PP e i suoi alleati centralisti dei Ciudadanos ritengono che il confronto in corso sia in sostanza una riproposizione delle due anime presenti sul suolo iberico da più di ottanta anni: da una parte le mai sopite tendenze franchiste e centraliste, appena mascherate dal velo della Costituzione del 1978, e dall’altra un progetto di trasformare l’intera Spagna in un paese moderno, democratico e attento alla plurinazionalità. Si tratterebbe, in sostanza, di una “seconda transizione” dopo quella insoddisfacente, pur propagandata a livello mondiale come un modello da seguire, che romperebbe realmente con la storia della oscurantista dittatura franchista.
Non è facile, in questo quadro, valutare le possibili evoluzioni sociali in senso libertario che si potrebbero basare sulle mobilitazioni spontanee e di base che hanno espresso una notevole forza a livello potenziale. Purtroppo, come in altre circostanze, tale promettente energia è stata in fin dei conti utilizzata dalle classi dirigenti: quelle vecchie al potere e quelle nuove che vogliono conquistarlo.
Claudio Venza
Qualche data storica…
1714 – L’11 settembre le truppe castigliane occupano Barcellona al termine della guerra di successione spagnola. Esse impongono sul trono madrileno un re Borbone, assai più centralista dei precedenti sovrani Asburgo (questa data, la Diada, è il classico appuntamento catalanista e mobilita ogni anno, nei casi meno riusciti, attorno al milione di manifestanti. La Catalogna ha circa 7 milioni di abitanti).
1932 – Il 15 settembre, un anno dopo la proclamazione della Seconda repubblica, riformista e laica,è approvato uno Statuto di Autonomia che resta formalmente in vigore fino al 1939.
1937 – La prima settimana di maggio esplode il conflitto tra forze rivoluzionarie (CNT-FAI e POUM) e restauratrici (PSUC ed ERC). Il governo repubblicano si trasferisce a Barcellona e di fatto limita l’autonomia catalana.
1939 – Il 26 gennaio le truppe golpiste occupano Barcellona. Francisco Franco abolisce subito la Statuto di Autonomia.
e del presente
2006 – Il Parlament di Barcellona approva un nuovo Statuto che aumenterebbe le prerogative rispetto a quello del 1979, emanato dopo la Costituzione che sancisce comunque “l’unità indissolubile della Spagna”.
2010 – Il Tribunale Costituzionale accetta la richiesta del Partido Popular e svuota buona parte della proposta catalana.
2014 – Referendum simbolico sul testo residuo dello Statuto che viene approvato con una percentuale di votanti inferiore al 50%
2015 – Vittoria delle formazioni indipendentiste alle elezioni regionali che controllano il Govern della Generalitat, il parlamento catalano
2017 – Il 6 settembre il Parlament indice il referendum sull’indipendenza malgrado le posizioni nettamente contrarie del Governo di Madrid e del Tribunale Costituzionale. Inizia una nuova fase della sfida istituzionale.
Qualche protagonista politico
PDemCat (Partit Democràtic de Catalunya) – di impostazione centrista e liberalista. Con l’etichetta precedente di CiU esprimeva spesso i President del Govern catalano. Si trasforma per superare crisi interne e i contraccolpi dei numerosi casi di corruzione.
ERC (Esquerra Republicana de Catalunya) – nata nel 1931 e risorge dopo la morte di Franco del novembre 1975. E’ costantemente sostenitore della secessione. Attraversa fasi alterne e riesce a catturare, a partire dal 2010, le spinte indipendentiste di risposta alla bocciatura dello Statuto. In alleanza elettorale con il PDemCat raggiunge il 40% nel 2015
CUP (Candidaturas de Unidad Popular) – si forma in seguito al grande movimento degli indignados del 15 maggio 2015 che occupa per settimane la grande Plaza de Catalunya. Ha raccolto, soprattutto nelle province di Girona e Lleida, circa il 10% dei voti, in buona parte giovanili e della sinistra anticapitalista
PSC (Partit Socialista de Catalunya) – federato con il PSOE. Esprime una politica tiepida di centro sinistra, anche nel tema autonomista. Negli anni Ottanta era il primo partito. I più vicini al catalanismo se ne sono allontanati. Ora dispone di deleghe elettorali inferiori al 20%
PP (Partido Popular) – formazione che recupera la sostanza del franchismo dandogli una veste democratica. Consensi catalani inferiori al 10%. (A livello spagnolo raggiunge il 40%)
Cs (Ciudadanos) – partito sorto da pochi anni come forza anticatalanista. In pratica è un alleato (o un’etichetta) del PP e offre un’immagine più moderna e presentabile del centralismo. Conta circa il doppio dei consensi ufficiali del PP.
Barcelona en comù – alleanza di nuova sinistra di origine movimentista. Ha eletto la sindaca di Barcellona, Ada Colau, già militante nei comitati contro gli sfratti. Non si dichiara esplicitamente indipendentista e ha scelto un profilo basso nel recente referendum.

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